giovedì 18 gennaio 2018

 
 
 


 
Capitolo XI

 

(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

 

Ulteriore punizione riservata ai soldati per reati minori Altro castigo pure s’esercitava nelli soldati. Che ritrovandosi alcun di essi delinquente o per furto o per altro errore, bensì di non troppa considerazione, squadronate le truppe, si conduceva il soldato del quartiero. E posto innanzi dette truppe, era costretto soffrire le battiture d’uno o due caporali sopra le spalle con bastoni ben forti - tolto prima l’abito o giamberga - al numero almeno di quindeci. Allorché dal superiore che assisteva se li usava alcun’equità, poiché il numero determinato dovea seguire alli cinquanta. Ed altri supplizij che pativano gli soldati giornalmente.

 

17 aprile 1719

Bomba esplode davanti al portale della chiesa di Santa Maria la Catena, affollata per la solennità della Madonna delle Grazie: miracolosamente non provoca vittime 17 aprile. Tra l’altre bombe in questo giorno gettate nella città dalli fortini delli Spagnuoli, una diede innanzi la porta della chiesa di Santa Maria la Catena, nella quale si festeggiava - come meglio si potea, per l’evidente pericolo delli cannoni e bombe che di continuo si disparavano - celebrandosi la solennità della Beatissima Vergine Maria Madre di Dio sotto titolo della Grazia per li tremuoti [terremoti, ndr] successi nel 1693. A 11 gennaro trasferita [dal Duomo antico, ndr] per l’urgenze della guerra sino a quel giorno, peronde si può presupponere il concorso delli fedeli cittadini, oltre gli forastieri e soldati che assistevano a tal festività. Ed avendo la bomba crepata fattasi in più pezzi, che s’innalzarono per l’aria, per miracolo evidente della gran Signora Maria non seguì alcun danno in mezzo d’una copiosa moltitudine di persone, che entravano ed uscivano dalla chiesa per adorare la aacra imagine di Nostra Signora. Tanto più che si cantava la messa solenne. Solamente si vidde il luogo ove diede nel suolo la bomba.

 

Vascello francese, assoldato dagli Spagnoli per il trasporto di provvigioni, viene sequestrato dagli Inglesi Le navi inglesi con altre barche corsare presero un vassello -  qual era stato da più tempo nella ripa del mare alla devozione del campo spagnuolo - con averlo condotto nel Capo, ove solevano approdare. E con averli tolto li marinari, presidiandolo con soldati tudeschi armati. Il vassello sudetto era di nazione francese, portava dodeci cannoni e da più tempo conduceva provisione al campo nemico. Affermandosi allora essere stato assoldato dalli Spagnuoli per lo trasporto di provisioni e di guerra e di commestibili, per loro commodo. Perloché il capitano del navilio preso e tutti gli marinari furono arrestati nel Castello Regio.

Il fuoco delli cannoni e bombe, d’una parte e l’altra, fu eccessivo. E la notte continuò il disparo delle scopettate e di mortari di pietre con granati nelle trinciere. Non s’intese aver successo alcun danno nelle persone, solo la demolizione d’alcune case, al che più non si badava dalli poveri cittadini.

 
 
 


Fonte:
Guerra del 1718 in Italia per la successione di Spagna - I. e R. Istituto Geografico Militare in Vienna (contenuta in Campagne del principe Eugenio di Savoia / opera pubblicata dalla Divisione storica militare dell'I. R. Archivio di guerra [austro-ungarico] in base a documenti officiali e ad altre fonti autentiche [fatta tradurre e stampare da sua maestà Umberto Primo Re d'Italia] - Torino : Tip. L. Roux e C - vol. XVIII edito nel 1901: Guerre in Sicilia e in Corsica negli anni 1717-1720 e 1730-1732)
 
In basso ed in fondo al presente capitolo, tutti i particolari della suindicata veduta

 
 

 

 
 

18 aprile 1719

Riparte per Napoli il vascello sequestrato il giorno precedente 18 aprile. Partì ben tardi il vassello francese, qual nel giorno precedente era stato arrestato dalle navi inglesi. Con aversi inviato per Napoli a quel viceré, corredato bensì da molti soldati tudeschi per guarnizione. Perloché si credeva che quel viceré avesse avuto la sopraintendenza dell’Augustissimo Imperadore pure in questo regno.

 

Si accresce il numero dei caduti nelle trincee, osservate dalle alture del Borgo («di sopra il Monte»)  Dal mattino sino alla sera si credette da tutti gli abitatori che tutto l’inferno s’avesse scatenato contro questa povera città. Poiché li cannoni d’una parte e l’altra mai cessarono a dispararsi, continuando il gettito di molte e molte bombe. Con tutto che non avesse successo danno di persona alcuna, ma solo molte case si precipitarono. La notte, poscia, nelle trinciere si dispararono più migliara di scopettate e molti mortari di pietre, osservandosi per curiosità d’alcuni cittadini di sopra il Monte il fuoco. Il quale, se d’una parte sembrava giolivo nell’apparenza, dall’altra s’intendeva rammarico così per la morte delli soldati, come per la considerazione che non apparea alcuno principio di quietarsi le turbolenze, anzi di giorno in giorno sormontavano nell’eccesso.

Si raccontò inoltre che restarono uccisi nove soldati in dette trinciere, compreso un caporale, e molti e molt’altri gravemente e stroppiati e feriti. Il consimile si credette aver successo nelli Spagnuoli, poiché le palle disparate furono innumerabili.

 

Proseguono i bombardamenti. Colpite ripetutamente le porte di Messina e Palermo Tra l’altre bombe, una nella casa della signora donna Maria Siragosa, sotto il convento di San Francesco di Paola, altra nella Marina, nel quartiero di Giesù e Maria la Vecchia, in casa di maestro Francesco Perrone. Altra sotto le falde del bastione di Santa Maria, altra nel Borgo, nella casa di maestro [segue lacuna nella copia, ndr] Piraino. Altra nel quartiero del Giardinello, vicino la casa di padron [segue lacuna nella copia, ndr] Viglialva, e molt’altre nella parte superiore della città. Non menzionandosi quelle che furono disparate nella parte inferiore, per non aversi avuto distinta la relazione. Tralasciandosi, inoltre, la notizia di quelle che di continuo si gettavano vicino li fortini e nelle porte di Messina e di Palermo, avendo restato la prima senz’alcun segno, solamente col terrapieno della parte di dentro. Peronde si lascia alla considerazione di chi legge come restavano le case delli cittadini.

 

19 aprile 1719

Prosegue il fuoco delle artiglierie 19 aprile. Fu peggio in questa giornata della precedente il disparo delli cannoni e bombe dalle batterie delli Spagnuoli contro la città. Senz’aver cessato il fuoco nella notte delle scopettate nelle trinciere, col gettito di molte pietre. Forse ciò si faceva per demostrarsi, d’una parte e l’altra, che si stava con ogni diligenza. Giaché da molto tempo s’avea conosciuto che col rimbombo delle cannonate, col disparo di tante bombe e col fuoco di molte e molte scopettate  non s’avea fatto cosa di buono: né gli Spagnuoli superata la città, né gli Tudeschi fatto disalloggiare gli nemici.

 

Atroce esecuzione di un disertore austriaco eseguita al di fuori della Porta del Capo Fu in questo giorno sentenziato già a morte un soldato tudesco di cavallo per aver tentato la fuga, conferendosi nel campo spagnuolo. E discoperto, anzi soppreso nel fuggire, che s’effettuasse il supplizio funesto. Il che seguì fori la Porta del Capo, con aversi condotto al luogo deputato da molti soldati della sua compagnia [e] con l’assistenza del cappellano del suo regimento. E doppo aversi fatto dal Padre tutte quelle azzioni per salute dell’anima del poveretto, che si stimavano necessarie, non lasciandosi dal medemo un Santissimo Crocefissetto che sempre nelle mani portava, dal manigoldo si poneva il soldato sopra uno scanno vicino ad un legno ben alto [e] perforato nella cima, essendovi nel pertugio una corda. Colla quale s’attaccava il collo del povero soldato per quanto potea pervenire. E poscia, tolto lo scanno, si stirava per forza il corpo del delinquente per arrivare al suolo; ed altri tenendolo per gli capelli sino che spirava, persistendo nel patibolo molto spazio di tempo.

Si raccontava, da chi ebbe la curiosità d’osservare questo fatto, che il condannato a simile martirio pativa una morte assai crudele. Poiché violentemente si pretendeva levarli lo spirito dal corpo con molti dolori e tormenti. Ed il peggio era che non restava morto di subbito.

 

20 aprile 1719

Un disertore riferisce abbondanza di viveri nel campo spagnolo, dove gli ufficiali non ricevono la paga da più mesi. Riferisce ancora di molti caduti seppelliti in prossimità di S. Marina. Il notevole numero di messe in suffragio impingua le casse della Parrocchia di quest’ultimo villaggio 20 aprile. Comparì dal campo spagnuolo un desertore della medema nazione. Raccontò ritrovarsi nelli Spagnuoli molt’abbondanza di viveri e scarsezza di denari: e gli officiali dover conseguire il pagamento di più mesi del loro soldo. Inoltre correre molte infermità nelle truppe, colla morte di più soldati e d’alcuni officiali. Perloché  si deputò un luogo separato vicino il casale di Santa Marina per seppellirsi gli cadaveri. Come pure aversi fatto celebrare quantità di messe in suffragio di tanti defonti nella chiesa di detto casale. Perloché gli sacerdoti preti, che si ritrovavano in detto campo, conseguirono elemosine molto pingui per la celebrazione sudetta, correndo un quartiglio di Spagna per ogni messa. Come pure l’elemosina d’una cantata era di molto lucro per detti sacerdoti.

 

Caduti tre soldati ed un tenente austriaco, vittime dei sassi lanciati dai mortai Il fuoco delli cannoni e delle bombe non rallentò in detto giorno sino la sera. Bensì non seguì alcun danno di qualche persona. E la notte nelle trinciere fu continuo il disparo di migliara di scopettate, disparandosi pure molti mortari con pietre: e si disse aver restato uccisi tre soldati ed un tenente ed altri feriti. Avendosi portato il tenente in città per sepellirsi, che altrimente nemeno ciò s’avrebbe saputo.

 

Il comandante Missegla non viene più tenuto in considerazione dai colleghi austriaci, malgrado in passato lo avessero ritenuto esperto in materia militare e coinvolto nelle decisioni cogli onori che meritava Il signor baron Missegla, comandante della Piazza colla sola denominazione, qual sempre s’adoprò indifesso al servizio del suo re, travagliando e di giorno e di notte. Anzi, venute le truppe tudesche, assistette continuamente a’ fianchi delli signori comandanti tudeschi, dalli quali riceveva ogni sodisfazione dovuta con entrare nelle consulte generali per defensione, nonché del regno, specialmente di questa città. Dandosi inoltre il dispotico sopra il governo del publico ed in altre materie che per accidente incontravano, per essere stimato prattico da più tempo e per convenienza. Da più giorni s’osservò non aver più quella potestà che prima esercitava, non tenendo più quel brio ed allegria che sempre dimostrò. E solamente dalli suoi nazionali era riguardato. Infine non si faceva più conto di tal soggetto.

 

21 aprile 1719

I pochi milazzesi rimasti in città si riuniscono dibattendo sulla guerra in corso 21 aprile. In questo giorno, tra quegli puochi cittadini e paesani che si ritrovavano in questa si fecero molte assemblee e radunanze, secondo le loro condizioni. Nelle quali, per isfuogare le loro afflizioni, s’asseriva che gli Spagnuoli in nessun modo puotevano superare ad entrar nella città, per esser [questa] molto provista di guernizione di truppe tudesche governate da signori comandanti bellicosi e molto esperti nella milizia. Oltrechè da questi con ogni accuratezza s’invigilava continuamente alla defenzione della città per non esser soppresa. Come pure che nemeno da queste truppe si potea far sortita per discacciare gli Spagnuoli, per avere questi le loro trinciere assai fortificate, con molti fortini pieni di cannoni - e da battere e volanti - e mortari di bombe, con molta provisione di palle e polveri e bombe, con fossate e contrascarpe, oltre la quantità di truppe ben agguerrite.

Si discorreva, di più, che non puotendosi né dell’una, né dell’altra parte, avanzare oltre di quello che ogn’una di esse possideva, per qual cagione si consumavano tanti provecci di guerra con dispendio grandissimo? Ed a che servivano gli dispari di tanti e tanti cannoni col gettito di tante bombe, tante scopettate? E non resultando altro che la demolizione d’una città intiera. Onde si pascevano con questi e consimili discorsi, colli quali li sembrava allegerirsi le loro turbolenze ed afflizioni. Ciò nondimeno, innanzi e doppo delle medeme assemblee, pure in detto giorno, dall’alba sino a sera non cessarono le palle di cannoni, con aversi gettato molte bombe nella città.

 

In prossimità del bastione di S. Gennaro muore Ottavio Maiorana, colpito al ventre da una palla di cannone sparata dal fortino di contrada Albero mentre era intento a tirare la rete (sciabacùni) a bordo d’una barca, malgrado fosse proibita la pesca diurna. Ferito gravemente - ma sulla spiaggia - anche il nipote adolescente E, tra l’altre palle, una uccise ad Ottavio Maiorana, marinaro, con averli tolto le budella dal ventre. Il caso funesto cossì successe. Si retrovava il poveretto sopra una barchetta nel mare, sotto il bastione di San Gennaro. Che stava tirando con altri marinari di questa la rete nominata sciabacone. Nel quale luogo pure vi erano altre barchette che esercitavano tal mistiero: e benché tutte fossero scoperte dal fortino dell’Albero, nondimeno - per aversi retrovato vicino quella ripa di mare molti pesci, chiamato dalli marinari un “guado di pescame”, volendo provecciarsi la povera vita - azzardarono far la pesca di giorno, essendovi espressa proibizione di pescarsi solamente la notte. Onde venne la palla sudetta disparata da quel fortino e, per mala fortuna del Maiorana, lo prese nel ventre, con averlo ucciso di subito. Ed inoltre ferì malamente un nepote del sudetto, nominato [segue lacuna nella copia, ndr], d’anni dodeci, il quale era in detta ripa, riguardando tirare la rete, con altre persone, le quali volevano comprar pesci.

 

Altri due soldati austriaci caduti nelle trincee Sembrò un portento in detta notte che nelle trinciere non s’intese né vidde fuoco di schioppi disparati, né dalle truppe Spagnuole, né delle nostre. Non perciò cessarono li mortari di pietre e granati e di bombe, facendosi a sentire continuamente sino all’alba seguente, con aver rimasto due soldati tudeschi uccisi. E forse altri feriti, non puotendosi ciò sapere distintamente, poiché puoco conto si faceva se morivano soldati e  nemeno si propalava [divulgava, ndr].

 

Diserzione di due granatieri austriaci  S’ha descritto che spesse volte desertavano dal campo spagnuolo alcuni soldati con fuggirsene in questa città, delli quali alcuni prendevano partito, assoldando nelle truppe tudesche, ed altri erano condotti in Napoli, ove richiedevano. Ma non s’ha fatto menzione di quelli soldati che desertavano da questa città fuggendo nel campo spagnuolo. Si può affermare che siccome da quel campo passavano in città, altretanto da questa andavano nel campo: come seguì in questo giorno con aversene fuggito due soldati granatieri.

 

22 aprile 1719

Bombe spagnole esplodono in città, colpendo il bastione di S. Maria nella Cittadella, la chiesa di Gesù e Maria la Nuova (ormai distrutta) ed il Palazzo del Governatore 22 aprile. Si fecero a sentire gagliardamente in città le bombe disparate dalli Spagnuoli. Una delle quali crepò nel bastione di Santa Maria nella Cittadella, altra nella chiesa di Giesù e Maria la Nuova, con averla dell’intutto conquassata, altre due dentro il palazzo ove suole resiedere il Governadore della Piazza, nel quartiero di Santa Maria la Catena. Non raccontandosi dell’altre, poiché non seguì danno nelle persone. Solamente case dirupate, mobili abbruggiati, superlettili rovinati et altri disfatti et assassinati. Oltreché, volendosi numerare, ha dell’impossibile colla specialità ove diedero. Tanto più che nella città non esisteva la communicazione da per tutto, temendo l’abitanti della parte superiore descendere all’altra inferiore, per il grave periglio soleva succedere nelle strade per tante bombe gettate e palle di cannoni disparate. Stando ogn’uno o nella sua casa o nelle convicine per negozio urgentissimo.

 

Due palle di cannone lanciate dal forte di contrada Albero distruggono la casa di Ignazio Siracusa, sotto il convento di S. Francesco di Paola, abitata da un colonnello tedesco e dalla sua famiglia. Diserzione dalle trincee di un caporale e di otto soldati austriaci Tra l’altre palle disparate, due dal forte dell’Albero diedero in questo giorno dentro la casa del signor Don Ignazio Siragosa, sotto il convento di San Francesco di Paola. E se la prima principiò a far breccia, l’altra consumò e disfece le mura colla perdita di molti mobili, in parte abbruggiati e disfatti con casse ed altri e parte assassinati dalli soldati. E con tutto che in detta casa albergasse un coronello tudesco con tutta la fameglia, per loro buona fortuna non si retrovò nessuno nella casa, perloché non seguì alcun danno di persone.

Nella notte desertarono dalle nostre trinciere otto soldati tudeschi con un caporale, le quali erano di battuglia, con aversene fuggito in quelle delli Spagnuoli.

 

23 aprile 1719

Il generale Zumjungen, appresa la notizia della diserzione dei soldati e del caporale, accusa di negligenza, punendoli, i suoi ufficiali di guardia nelle trincee. Il provvedimento provoca tuttavia la diserzione anche di questi ultimi. Risultato: un’intera pattuglia diserta raggiungendo il campo spagnolo 23 aprile. Ebbe notizia in questo giorno il signor generale Zumjungen, comandante tudesco, della fuga delli sudetti soldati e caporale la notte scorsa. Perloché molto s’imperversò, adirandosi cogli officiali che si ritrovavano di guardia in dette trinciere. Tanto che fulminò editti, col castigo, succedendo altra fuga consimile pure delli officiali sudetti. Sembrandoli molto stravagante che una battuglia intiera avesse passato nella parte nemica; e ciò aver seguito per puoca cura e diligenza dell’altri maggiori.

 

Continuano i bombardamenti: i cittadini intimoriti si barricano in casa ed in chiesa. I più facoltosi fuggono al Capo o in altre località lontane e sicure Non si possono esplicare le bombe che furono gettate e le palle di cannoni disparate in città dalli fortini delli Spagnuoli, per aver continuato per tutto quel giorno. Avendo corso alcune bombe vicino la chiesa di San Giuseppe, contigua colle mura per le quali si esce al Capo. Altre dentro la Cittadella. Tanto che li poveri abitatori e paesani o non uscivano di casa opure stavano in chiesa sempre riguardando l’aria, per evitare - per quanto si potea - l’apparente periglio. Ma la maggior parte, per non dir tutti, de’ principali si retirarono nelle parti più lontane o nel Capo. Bensì ciò non si puotea adempire giornalmente da tutti quegli che non avevano servitù.

 

Sbarcano a Ponente, precisamente nella spiaggia di contrada Casazza, ove iniziava l’accampamento spagnolo, 14 tartane cariche di rifornimenti (con tutta probabilità sacchi di farina, come si evinceva dall’osservazione col cannocchiale) Pure vennero nella ripa del mare dalla parte di Ponente, sotto la contrada della Casazza nella Piana, ove risiedeva il campo spagnuolo, 14 tartane. E nel medemo giorno, per essere spiaggia, disbarcarono con ogni sollecitudine le provisioni che conducevano. E doppo se ne uscirono viaggiando verso Palermo. Si credette aver condotto farine, per aversi osservato dalla città col cannocchiale che nella ripa (ove seguì il disbarco) esservi quantità di sacchi pieni.

 

Tentativo d’incursione al Capo di due imbarcazioni corsare, allontanate, tra l’altro, dalla batteria di cannoni presente nella Cala dell’Oliva Si fecero a vedere sopra il Capo, nel mare, due felughe corsare delli Spagnuoli, pretendendosi predare quel navilio francese che li giorni scorsi era stato trattenuto d’ordine del signor generale Zumjungen, comandante tudesco. E, doppo, inviato con guernizione tudesca in Napoli. Perloché dallo scaro dell’Oliva, ove si ritrovavano molti cannoni, si dispararono molti tiri di cinque cannoni per discacciare dette felughe. Ed inoltre uscì alla mara [alla marra?, espressione di ardua comprensione, ndr] da detto Capo il pinco corsaro catalano con duecento soldati tudeschi. Perloché le dette felughe se ne fuggirono nella ripa dalla parte di mezzogiorno e scilocco, ove dominavano li Spagnuoli.

 

Tre soldati austriaci disertano abbandonando le trincee e raggiungendo il campo spagnolo La notte precedente desertarono da questa città tre soldati tudeschi, con aversene fuggito nel campo spagnuolo nel tempo che si ritrovavano di battuglia nelle trinciere. Perloché si dispararono a migliara le scopettate nelle sudette trinciere, col gettito di molte pietre.

 

Palla di cannone lanciata dal fortino di contrada Albero raggiunge la piazzetta della chiesa di S. Caterina (odierna chiesa del SS. Salvatore o Badia benedettina al Borgo) per terminare la sua corsa alla Porta del Capo: illeso un soldato austriaco. Tale piazzetta ospitava un mercatino di generi alimentari Una palla di cannone disparata dal fortino dell’Albero pervenne nel piano di Santa Caterina, con aver posto molto terrore a tutti quei che si ritrovavano da vicino, specialmente a molti napoletani, li quali tenevano quantità di viveri per venderli, essendovi in detto piano un mercato d’ogni comestibile. E doppo, la medema palla si sospese in aria, correndo sino alla Porta del Capo, vicino le mura. E ritrovandosi un soldato tudesco innanzi la porta della casa di Francesco Russo in detto quarterio, il quale o vedendo la palla o sentendo il grido, o per altro evidente, bensì per il timore della medema palla, s’alzò dal luogo ove stava adaggiandosi col limitare della casa. E la palla diede appunto nel luogo istesso ove pria commorava il soldato, anzi entrò nella detta casa.

Si fece in quel tempo considerazione, da molti che intesero il caso, che una palla di cannone, avendo corso sino alla chiesa di Santa Caterina, cadendo nel suolo senz’aver danneggiato ad alcuno in tempo che stavano affollati e venditori e compratori, con quantità di molti soldati per esser passaggio molto frequentato; e doppo aver avuto tanto vigore di sospendersi in aria e di nuovo correre  altro mezzo miglio, senza perder la furia, per ritrovar il soldato ad ucciderlo. Infine si notò la buona fortuna del soldato che evitò la morte solo per aversi tolto d’un luogo, mettendosi in un altro meno d’un palmo distante.

 

Alcuni civili fuggono via mare dal Capo raggiungendo la Piana controllata dagli Spagnoli Nella medema notte scorsa si partirono dal Capo con una barchetta Francesco Di Bella, villano di questa Piana, il clerico Giuseppe Piraino, qual tenea in detta Piana il padre, Dorothea Micali e Sisalà ed altri, fuggendo furtivamente nella ripa ove risiedeva il campo spagnuolo. E ciò non pervenne a notizia delli comandanti né tudeschi, né di Savoia. Che forse dalli sudetti s’avrebbe indagato con qualche scrutinio detta partenza ed avrebbero patito almeno gli congionti delli desertori. Solamente tra gli paesani si discorse. E recò meraviglia a molti che questa fuga avesse restata sopita senza penetrarsi.

 

24 aprile 1719

Il fortino dell’Albero denominato anche forte di mastro Ventura, dal nome del proprietario del terreno su cui sorgeva. Da detto fortino una palla di cannone colpisce la casa del sacerdote Pietro Scalzo al Borgo: la madre del sacerdote salvata dal baldacchino del proprio letto 24 aprile. Tra l’altre palle di cannoni disparate dal nemico spagnuolo nel fortino nominato di mastro Ventura, per essere in un suo luogo situato nella contrada dell’Albero, una diede nella casa solarata del sacerdote Don Pietro Scalzo, nel quartiero di Santa Caterina. Perloché tutta sudetta casa restò fracassata. E con tutto che in essa pure avessero commorato officiali tudeschi, per loro fortuna cossì il sacerdote, come gli altri, si ritrovavano fuori della casa. Ritrovandosi solamente la madre, sorella e nepoti del detto di Scalzo, le quali tutte non patirono danno alcuno. Solamente ebbero col timore molte pietre e calcina d’addosso. Anzi, s’ammirò che detta palla, entrata dal tetto, cadette nella camera ed innanzi il letto ove giaceva la madre. E pure molto le giovò il paviglione, affinché non fosse colpita dalle pietre e canali del tetto.

 

Giungono da Tropea nove tartane cariche di truppe austriache e viveri Approdarono su l’alba di detto giorno in questo Capo nove tartane ben grosse venute da Tropea assieme con molte felughe. Cariche, quattro di esse tartane, di molti viveri; e cinque di soldati tudeschi. Nell’approdare vicino la ripa gli furono disparate molte cannonate dal forte dell’Albero. Ma non furono colpite per la distanza, con tutto che più volte il cannone del forte sudetto avesse fatto tiri più lontani dal luogo ove diedero fondo le tartane. E nel medemo giorno disbarcarono quattrocento soldati con molti officiali tudeschi. E con tutto ciò furono predate dalli corsari liparoti e messinesi due felughe, le quali pure venivano da Calabria.

 

Altra tartana proveniente da Tropea assaltata e derubata dagli Spagnoli. Successivamente rilasciata grazie all’intervento di una tartana armata partita dal Capo ed al servizio delle truppe austriache Come pure restò indietro nel mare altra tartana per il puoco vento, qual era unita colle tartane pria venute. E da quattro galeotte spagnuole fu assaltata con aver restata presa. Perloché uscì dal Capo la tartana corsara, armata con molti soldati. Non poté condursi al luogo ove si ritrovava predata la tartana. Principiò bensì a far continuo fuoco col cannone, onde le dette galeotte - tolto tutto il bagaglio, viveri ed altri che esistevano sopra la detta tartana - la lasciarono spogliata, con aversi retirato alla ripa (verso levante e sciolocco) dominata dalli Spagnuoli. Conducendosi la tartana derubbata nel Capo.

 

Annunciato l’arrivo a Milazzo di 6 reggimenti austriaci e di 12 navi britanniche. Un disertore fugge dalle trincee spagnole e riferisce la penuria di denaro per il pagamento delle truppe Riferirono gli soldati aver gionto in Napoli sei regimenti tudeschi, come pure dodeci navi inglesi. Quali tutti dovevano conferirsi in questa città per sua defensione. Anzi, giudicavano d’aver fatto il viaggio prima della loro venuta.

Pure venne un desertore spagnuolo con aversene fuggito dalle trinciere. E per essere stato scoperto nella fuga gli furono disparate migliara di scopettate da dette trinciere. E pure restò esente dalle palle. Riferì al signor generale Zumjungen (da cui fu interrogato, conforme s’osservava con tutti gli desertori). E doppo publicamente riferì che nel campo spagnuolo si retrovavano da 14 mila soldati ed esservi molt’infermità nelle truppe, colla scarsezza di denari. Tanto che nememo puotevano esser sodisfatti per intiero delle loro paghe.

Il fuoco del cannone e delle bombe si fece a sentire per tutto detto giorno, continuando dal mattino sino la sera, d’una parte e l’altra. E la notte non cessarono le scopettate col disparo delli mortari con pietre nelle trinciere. Perloché sempre siegue danno notabile nella città, non sortendo nelle persone, nella demolizione di più case e nelle trinciere, colla morte d’alcuni soldati, oltre gli feriti. Specialmente quegli che si ritrovano di guardia e di battuglia in esse trinciere.

 

25 aprile 1719

Giungono da Tropea imbarcazioni cariche di viveri, ma vengono disturbate dall’artiglieria spagnola del fortino della Tonnara 25 aprile. Vennero ed approdarono nel Capo dicinove tartane cariche di diverse vettovaglie e viveri da Tropea e Calabria, associate dal comboglio per tema delli soldati spagnuoli, li quali con molte e diverse imbarcazioni infestavano questi mari convicini. E discoperte dette tartane, furono molto travagliate dal cannone nemico nel fortino della Tonnara ed altri. Anzi, una di esse, rimasta indietro per il puoco vento, molto pericolò, sino che approdò nel lido, per essere stata travagliata con quantità di palle di cannoni delli Spagnuoli. Ma tutte restarono illese. Il sudetto comboglio, condotte dette tartane in salvo, di subito fece vela per Calabria.

 

Palla di cannone centra la casa di Antonino Proto Tra l’altre palle di cannone disparate nella città - che furono senza numero - una diede nel balcone della casa del signor Don Antonino Proto e nel medemo luogo che giorni innanzi altra palla avea colpito. Onde restò fracassato non solo detto balcone e nelli ferri e nelle pietre d’intaglio, pure restò disfatta una camera nella quale entrò detta palla, ritrovandosi in essa le signore madre, moglie e sorella del Proto. E pure restarono tutte senza danno.

 

Muore un capitano di fede luterana nonché nipote del generale Zumjungen Da più giorni che si ritrovava infermo con febre il Capitan Chinerat, tudesco, nepote del signor generale Zumjungen, comandante, eretico come il zio, dentro il convento de’ Padri Domenicani, ove tutti albergavano. Ed in detto giorno - senz’abiurare l’eresia a contemplazione del zio, il quale giornalmente l’incalzava che persistesse fermo nella setta di Lutero, che altrimente l’infermo s’avrebbe reconciliato abbracciando la fede catolica (come publicamente si dicea) - passò all’altra vita con molti attestati di raccomandazione a Dio per salvezza dell’anima sua. Per certo fu cavaliero di molto garbo, giovanetto e d’aspetto gentilissimo, vago e di discretissima indole, innamorando con il tratto nel pratticare. E pure per sua sfortuna non conseguì lume di riconoscere il suo errore sino all’ultimo periodo di sua vita, volendo morire eretico colla presupposizione - nonché erronea, falsissima - di puotersi salvare vivendo nella sua legge.

 

Giunge a Milazzo da Tropea il medico generale delle truppe austriache nei regni di Napoli e Sicilia allo scopo di esaminare i diversi casi d’infermità tra i soldati Al solito in questo giorno fu continuo il disparo delli cannoni colle bombe d’ambedue le parti. E la notte non cessò nelle trinciere il fuoco d’innumerabili scopettate, col gettito di molte pietre. Avendo restato ucciso un povero soldato tudesco e molti altri feriti.

Venne pure Don Stefano Yerger, tudesco, medico generale e maggiore di tutte le truppe tudesche, così nel Regno di Napoli e Calabria come di questo Regno di Sicilia, per servizio di Sua Maestà Catolica e Cesarea, per essere stato chiamato dal signor generale Zumiungen, comandante, per le molte infermità occorse nelli soldati della sua nazione. Portò un bagaglio di molto prezzo. Si sperimentò assai esperto nella medicina, con tutto che fosse stato giovanetto. Ed inoltre era faceto e giolivo, con avere grossissimo soldo dall’Augustissimo Imperadore. E stava aspettando la moglie da Tropea, da dove s’avea partito.

 

26 aprile 1719

Si seppellisce in prossimità della Porta del Capo il capitano austriaco nipote dello Zumjungen 26 aprile. In questo giorno si sepellì il Capitan Chinerat, tudesco eretico, qual morì il giorno scorso, avendosi fatto l’essequie con pompa funebre. Bensì la sua cappella fu fuori la Porta del Capo, in uno luogo remoto. Forse per non esser pasto di bruti, giaché il luogo sacro non l’era permesso. Nemeno dalli suoi congionti fu richiesto.

 

I militari caduti nelle trincee seppelliti in prossimità delle trincee medesime. Le loro divise riportate al campo comunicavano implicitamente il loro decesso Pure nelli fortini delli Spagnuoli fu molto eccessivo e continuo il disparo delli cannoni, col gettito di molte bombe nella città. Bensì non si dispararono

 

li nostri cannoni nel bastione di Santa Maria, né quegli delli fortini di San Rocco e di San Francesco di Paula. Solamente l’altri nelli forti della città, nella parte inferiore, e nelle mura di dentro e di fuori. E la notte non solamente s’intese, ma si vidde il fuoco delle scopettate disparate nelle trinciere col gettito di più pietre disparate con mortari d’una parte e l’altra. Restarono uccisi tre soldati tudeschi ed un caporale, quali si ritrovavano di battuglia e di guardia. E molti feriti, che solamente si conducevano per medicarsi, restando gli morti sepolti vicino dette trinciere. Portandosì bensì le vesti, del che s’avea notizia della mortalità, che altrimente nemeno s’avrebbe saputo.

 

27 aprile 1719

Si attendono da Napoli le navi che avrebbero dovuto trasferire le truppe piemontesi a Siracusa 27 aprile. Si disse pubblicamente che si stava aspettando il comboglio da Napoli con molte truppe tudesche per condursi sopra esso tutte le truppe savoiarde e di Piemonte, le quali si ritrovavano in questa cogli loro officiali per [poi recarsi nel]la città di Siragosa, con farsi la consegna di tutti li provecci di guerra alli comandanti tudeschi, avendosi fatto la nota di tutta sudetta robba.

Non cessò il disparo delli cannoni e di bombe per tutto questo giorno. Non seguì danno nelle persone, non badandosi più né a casa, né a mobili delli cittadini.

 

Bomba distrugge quel che resta della chiesa del Carmine, sopravvivendo solo alcuni avanzi verso il coro Una bomba, tra l’altre, entrò nella chiesa de’ Padri Carmelitani. Perloché si disfece il restante di detta chiesa, restando solamente alcune reliquie di essa dalla parte del coro. Onde si muoveva a compassione chi avea campo di riguardar un così funesto flagello.

 

Palla di cannone danneggia gravemente la casa del sacerdote Pietro Scalzo al Borgo Tralasciandosi l’altre palle di cannone che disfecero tutta la città, una di esse entrò nella casa del sacerdote Don Pietro Scalzo, nel quartiero di Santa Caterina, dal tetto. Non solo sconquassò la parte superiore, precipitandosi sino al suolo, pure disfece il solaro. E s’attribuì a gran portento che - ritrovandosi in essa casa più e più persone, così congionti del sacerdote di Scalzo, come officiali tudeschi colla servitù - non avesse alcuno di essi restato offeso. Bensì, oltre l’eccessivo spavento d’ogn’uno sofferto, tutti restarono pieni di calcina, coperti di canali rotti, pietre e legnami rotti.

 

28 aprile 1719

Due disertori riferiscono la penuria di denaro, che costringe i vertici militari spagnoli a non poter retribuire ufficiali e soldati, la mortalità diffusa tra le truppe e le divergenze di vedute tra gli stessi vertici militari in due opposte correnti di pensiero, una delle quali sosteneva la necessità dell’assalto immediato alla Piazza di Milazzo 28 aprile. Su l’alba comparirono in città due desertori spagnuoli fuggiti dal loro campo. Attestarono che, ritrovandosi nelle trinciere di guardia, tentarono la fuga assieme. Ma, scoperti dalla sentinella, si tentò il disparo dello schioppo da quella. Per loro fortuna non diede fuoco la canna, tanto che s’allontanarono. E con tutto che s’avessero disparate molte scopettate, nondimeno restarono senza danno.

Di più dissero che nelli Spagnuoli mancava il denaro con qualche mormorazione, nonché delli soldati, dell’officiali. Per ritrovarsi coll’attrasso [arretrato, ndr] delle loro paghe. Inoltre, esservi molti soldati infermi con molta mortalità di essi. E che nelli superiori persistea alcuna discordia sopra l’accidenti militari, insistendo alcuni che si dovesse assaltare la città per ritrovarsi truppe fiorite e non darsi campo di marcirsi nell’otio. Giaché tutti gli soldati condescendevano alla battaglia, ma altri dissuadevano tal resoluzione, coll’asserzione ritrovarsi la città prevista e di provisione di guerra e con molta quantità di soldati e con regimenti guidati da comandanti prattichissimi e di molto valore. Ed oltre di ciò, riferirono altre specialità al signor generale Zumjunghen - dal quale furono interrogati - che non si puoterono penetrare. Sudetti desertori erano molto esperti e bravi guerrieri giovanetti. Furono richiesti a prender partito: non l’accettarono, domandando il passaggio per Napoli. Li fu permesso. Ed effettuossi il giorno sequente, bensì sino la partenza furono trattenuti con qualche cautela per non propalare gli trattati [divulgare gli intendimenti, ndr] delli Spagnuoli.

 

Si avvicinano imbarcazioni nemiche. Tre soldati morti nelle trincee Si fecero a vedere vicino il porto, nella ripa del mare dalla parte dalli Spagnuoli possessa, alcune felughe e barche corsare, costeggiando con avvicinarsi al Capo. Perloché si stiede con molt’attenzione per non seguir la preda d’alcuna tartana o feluga, così di quelle approdate nel Capo, come dell’altre che solevano venire da Calabria quasi ogni giorno.

Si fece a sentire continuamente il disparo delli cannoni e bombe nella città, che dalli fortini delli Spagnuoli si facea. E la notte non cessarono le palle di schioppi ed il disparo di molti mortari con pietre nelle trinciere. E benché non avesse successo in detto giorno danno alcuno nelle persone, solo il precipizio delle case, pure restarono uccisi tre soldati con altri feriti in dette trinciere.

 

29 aprile 1719

Cinque militari valloni disertano, fuggendo dal campo spagnolo. Altri due morti nelle trincee 29 aprile. Desertarono dal campo spagnuolo cinque soldati valloni, con aversene fuggito in questa città su l’alba. Non riferirono cosa di considerazione. Nell’istesso giorno furono imbarcati per Napoli.

Oltre il continuo disparo di molte palle di cannoni, col gettito di bombe dalli Spagnuoli in questa città, qual persistette per insino la sera. Bensì non avesse successo dann’alcuno nelle persone, solo nelle case (come al solito).

La notte s’osservò colla vista il fuoco d’innumerabili scopettate nelle trinciere. Perloché dalli cittadini sempre si temea che non avesse a seguire alcun conflitto generale.

S’intese in città che la notte scorsa furono uccisi nelle trinciere due soldati con palle di schioppi.

Il fuoco delli cannoni e bombe nelli Spagnuoli contro la città fu molto spaventevole, non avendo cessato per tutto il giorno. E nella parte inferiore della città seguì danno notabile nelle case.

 

Abusi dei rivenditori napoletani e calabresi di generi alimentari. Alcuni milazzesi si arricchiscono con la vendita di tali generi La notte scorsa approdarono nel Capo molte tartane e felughe da Calabria, cariche di quantità di viveri, cossì di carni grosse e minute e galline, come di farine ed altri comestibili. Colla detta robba sempre la città si ritrovava in penuria, per ritrovarsi in essa molte e molte truppe, oltre la copiosa quantità di esteri e da Napoli e da Calabria. E pure non comparia alcun metodo e regola nel vendere. Poiché li napoletani e calabresi vendevano come li piaceva, almeno non avessero rubbato nel peso, sopra che erano molt’esperti. E nemeno si ritrovava alcun’ordine né delli comandanti tudeschi, né della città, per imponersi prezzo determinato sopra gli comestibili.

Perloché tutti quegli cittadini, che pria vivevano condecentemente colli loro stabili ed effetti urbani e rusticani, molto venivano a patire, necessitando più volte il vivere. Bensì gli plebei e quasi tutta la maestranza, non badando più al proprio decoro e loro condizione, s’ingegnavano a comprare e a vendere nelle publiche piazze, diventando facchini. E si vidde che questi si pefezionarono a saper vendere col grosso lucro più meglio delli napoletani e calabresi. Tanto che ogni’uno di loro ha saputo farsi alcun capitale, qual per tutto il corso della loro vita mai possederono. Ed in tal esercizio pure entrarono molti cittadini principali. Benché questi s’adopravano con alcun ritegno sotto lo scudo d’altri. Non perciò non si palesavano per tutta la città.

 

30 aprile 1719

Ennesimo disertore, ma poco loquace 30 aprile. All’alba di questo giorno comparì un desertore dal campo spagnuolo, fuggito la notte precedente dementre era di battuglia nelle trinciere. Non volse o non seppe dare alcuna notizia di detto campo. Solo che esisteva scarsezza di denari e gli officiali non vivevano con quella splendidezza come pria pratticata.

Il poggio di S. Rocco («sopra il Monte») osservatorio privilegiato delle trincee Continuò il fuoco delli cannoni col disparo di molte bombe. Bensì non fu così frequente come li giorni scorsi. E la notte precedente s’intese il disparo di quantità di schioppi. Anzi da molti s’osservò nelle trinciere - colla veduta di sopra il Monte vicino la chiesa di San Rocco, per esser luogo molto eminente, tanto che si potea ancor numerare - si avesse seguito interpellatamente. Ma si disparavano gli schioppi alla confusa.

 

1 maggio 1719

Primo maggio. Nel campo spagnuolo si fece una triplicata salva reale di tutti li suoi cannoni e moschetterie, come pure di mortaretti e cannoni volanti di campagna, non avendosi possuto penetrare la cagione. Chi disse che ciò seguì per aversi riferito nel campo sudetto d’alcuni desertori da questa città che in essa non si ritrovavano più cannoni, né polvere: perloché si fece tal festino.